L’immigrazione raccontata ai ragazzi e alle ragazze: recensione del libro “Motel Calivista, buongiorno!”
Mia Tang ha dieci anni e vuole diventare una scrittrice.
Apparentemente, “Motel Calivista, buongiorno!” (Traduzione di Federico Taibi, Ed. Emons Ragazzi, 2023), finalista del Premio Strega ragazze e ragazzi 2024, non è molto diverso da tanti altri libri che parlano di amicizia, dei problemi della crescita e dello scontrarsi con genitori che non comprendono i propri sogni. Se non fosse che Mia non è come gli altri bambini che tendono a essere i protagonisti di questi libri: lei e i suoi genitori sono immigrati cinesi negli Stati Uniti.
Non è madrelingua inglese, ma vorrebbe diventarlo più di ogni altra cosa, e gestisce la reception di un motel, dove la sua famiglia nasconde altri immigrati che si trovano in difficoltà.
Secondo il Rapporto annuale sulla presenza dei migranti elaborato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, i cinesi regolarmente soggiornanti in Italia al 1° gennaio 2023 erano 284.495, rendendo quella cinese la quarta comunità con cittadinanza extra UE più numerosa del nostro paese. I minori rappresentano il 22,8% di questa collettività.
Bambini e bambine, ragazzi e ragazze immigrati o nati in un Paese che attribuisce loro la cittadinanza solo se rispettano dei requisiti tra i più restrittivi in Europa e, soprattutto, se riescono a emergere vittoriosi da un percorso burocratico lungo, macchinoso e colmo di lacune. Compagni di classe e di gioco dei loro coetanei, ma frequentemente anche loro commessi, cassieri o camerieri; cresciuti nelle imprese di famiglia tra due culture, spesso sentendo di non appartenere completamente né a una né all’altra. Delle “banane”, gialle fuori e bianche dentro, come spiega un modo di dire diffuso tra i più giovani cinesi di seconda generazione.
Attraverso le avventure di Mia e le storie degli immigrati che si rifugiano presso il Motel Calivista, questo libro apre ai lettori e alle lettrici di tutte le età uno scorcio su cosa significhi immigrare da una situazione di povertà, che però si protrae nel paese di arrivo: bullismo da bambini e sfruttamento da adulti.
Una storia ambientata nella California degli anni Novanta, ma che appare rilevante anche nell’Italia dei nostri giorni.
In quell’America, che per la famiglia Tang avrebbe dovuto rappresentare il paese della libertà, dove vivere in una casa con un cane e mangiare hamburger fino a scoppiare, i tre si ritrovano prima a vivere nella loro macchina con poche centinaia di dollari in tasca, e poi a lavorare in un ristorante, dove anche Mia, a nove anni, è costretta a servire ai tavoli insieme alla madre, mentre il tanto friggere causa al padre dolorose vesciche sulle braccia.
Quando la famiglia viene licenziata, la possibilità di vivere e lavorare al Motel Calivista appare loro nella sezione degli annunci di un quotidiano cinese come un’occasione più unica che rara. Accettano l’offerta senza nemmeno indugiare, attratti dalla promessa di un alloggio gratuito e di uno stipendio di 150 dollari al giorno: 5 dollari per ognuna delle 30 stanze presenti nel motel. Tuttavia, l’immaginazione di Mia, che già pregustava tutti gli hamburger che avrebbero finalmente potuto comprare con quei soldi, si scontra presto con la realtà.
L’antagonista di “Motel Calivista, buongiorno!” non è una strega malvagia, una matrigna crudele o un supercattivo dai terrificanti poteri, come tipico delle storie per le generazioni più giovani. È il signor Yao, anche lui un immigrato, proveniente dal Taiwan, che si è arricchito negli Stati Uniti grazie al suo impero alberghiero.
Non lascia che Mia usi la piscina, gestisce il motel in modo dispotico e cambia gli accordi pattuiti con il signore e la signora Tang, riducendo il loro stipendio e sottraendo loro altri soldi per le motivazioni più disparate nel corso della storia.
Mia però non è sola. Può contare sull’amicizia dei settimanali del motel e della sua compagna di classe, Lupe, figlia di immigrati messicani. Quando quest’ultima le spiega la teoria del padre sull’esistenza in America di due diversi tipi di montagne russe, comprende che quello che lei sta vivendo è un fenomeno ben più ampio del suo vissuto individuale.
“Su quelle dei ricchi, la gente aveva i soldi; perciò, i loro figli potevano frequentare ottime scuole. Da grandi, quindi, quei figli avrebbero guadagnato molto bene, e i loro figli avrebbero potuto frequentare ottime scuole: il giro si ripete all’infinito.
Noi siamo sulle altre montagne russe. I nostri genitori non hanno soldi, perciò non possiamo frequentare ottime scuole, e di conseguenza non troveremo un buon lavoro. Così anche i nostri figli non potranno frequentare ottime scuole, non troveranno un buon lavoro, e così via”.
“Motel Calivista, buongiorno!” è la storia di una bambina costretta a crescere troppo in fretta e della sua presa di coscienza che il sogno americano non esista, ma che non per questo si debba rinunciare ai propri obiettivi, solo perseguirli in maniera diversa.
Dato che l’individualismo libertario statunitense ha favorito l’ascesa di pochi a discapito di molti, se vogliamo scendere dalle montagne russe a cui sembriamo essere stati condannati, dobbiamo demolirle attraverso un’azione collettiva, stringendo legami di solidarietà con chi ci circonda.
Questo libro riesce a narrare ai più giovani esperienze di immigrazione, razzismo e classismo in una maniera mai scontata e semplicistica, facendo parlare Mia a un pubblico di suoi coetanei.
Questo è possibile perché la protagonista altro non è che l’alter ego dell’autrice Kelly Yang che, come Mia, è emigrata dalla Cina agli Stati Uniti quando era ancora una bambina. Lì aveva presidiato reception, ospitato immigrati insieme ai genitori all’insaputa dei proprietari dei motel e, come Mia, aveva scritto lettere per mettere la sua conoscenza dell’inglese a disposizione di chi ne aveva più bisogno.
Per i suoi elementi autobiografici, nel leggere “Motel Calivista, buongiorno!” non ho potuto non pensare al film della Pixar “Red” (2022), della regista e sceneggiatrice cinese, naturalizzata canadese, Domee Shi. Sia Shi che Yang hanno trasformato la loro infanzia da bambine cinesi in un paese occidentale in una storia per ragazzi e ragazze, affinché chiunque si trovi nella loro stessa situazione sappia di non essere solo, e allo stesso tempo educando alla diversità e all’inclusione, sin dalla più giovane età, chi è estraneo a queste esperienze.
Entrambe le storie non mancano di elementi fantastici: Mei, la protagonista di “Red”, si trasforma in un gigante panda rosso, mentre Mia, grazie alle sue lettere, alla fine del libro riesce a raccogliere abbastanza soldi per comprare il motel dal signor Yao; questi però si intrecciano sinuosamente in vissuti tratti dalla memoria di chi li ha scritti, e ancora oggi una realtà per bambini e bambine di tutto il mondo.
Le storie che raccontiamo alle bambine e ai bambini durante la loro crescita modellano il loro modo di pensare e influenzano la loro visione del mondo, dando loro modo di entrare in contatto con valori che li accompagneranno per sempre. Usare i film o i libri per presentare una realtà multiculturale e inclusiva, fatta di personaggi forti, divertenti, sensibili e provenienti da ogni parte del mondo e da ogni esperienza di vita, accresce l’autostima di quei bambini e quelle bambine che raramente sono rappresentati come protagonisti di queste storie, e getta le basi affinché tutti e tutte diventino adulti e adulte in grado di navigare con comprensione e rispetto le diversità.
Un libro come “Motel Calivista, buongiorno!” può diventare un mattone per costruire un futuro privo di stereotipi e discriminazioni.