L’altro volto dell’accoglienza

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Dimenticate la mobilitazione nazionale che è seguita all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia o i corridoi umanitari aperti dopo la (ri)conquista del potere in Afghanistan da parte dei Talebani. 

La narrazione del genocidio palestinese racconta una storia profondamente diversa.

“Al momento non è riconosciuta l’emergenza umanitaria a Gaza da parte dell’Italia perché in primis qui, come in altri Paesi, non è riconosciuto lo stato di Palestina” dice l’assessora al sociale del comune di Padova Margherita Colonnello “e per questo il sistema di accoglienza nel nostro paese non ha attivato canali umanitari e un sistema coerente di risposta”.

Eppure nonostante il supporto ormai innegabile e una complicità aperta da parte di tutte, o quasi, le istituzioni nei confronti di Israele e le politiche di Netanyahu, l’Italia, e in particolare Padova, sta cercando di scrivere un nuovo finale per alcune delle tantissime tristi storie di (non) accoglienza di cui è teatro il nostro Paese.

La comunità palestinese, che ci tiene a mantenere e sottolineare la propria identità indipendente, collabora e dialoga con le numerose istituzioni che, soprattutto nell’ultimo anno, si sono fatte avanti per il sostegno alla popolazione di Gaza e della Palestina tutta.

Grazie a una serata dedicata all’informazione (e formazione) sul genocidio in corso in Palestina al Lux, un cinema indipendente a Padova, vengo a conoscenza dell’apertura di un corridoio umanitario e pochi giorni dopo incontro Giuseppe Lobascio, medico in pensione e portavoce dell’associazione Sanitari per Gaza.

“Tutto nasce con una raccolta firme a febbraio 2024 per sensibilizzare la cittadinanza sul genocidio in Palestina e sulla lunghissima storia dei rapporti tra la popolazione palestinese e lo stato di Israele” racconta.

A metà maggio arriva la possibilità concreta di accogliere la piccola Shaymaa e lo zio Yazid attraverso l’ONG Save A Child e la mediazione della comunità palestinese del triveneto.

“L’Italia si è mossa in modo onorevole” continua Colonnello, grazie a una circolare del Ministero della Sanità e un’altra indirizzata alla Protezione Civile in cui si invita a offrire cure alle persone palestinesi che si trovano già nel territorio italiano.

In questi timidi passi avanti manca però un nodo centrale: in che modo queste persone riescono a raggiungere l’Italia?

Prima del rilascio di queste circolari la gestione era completamente affidata a enti del terzo settore, almeno fino all’intervento di Luca Zaia, presidente della regione Veneto, che ha dichiarato che le porte delle aziende ospedaliere sono e saranno sempre aperte per chiunque abbia bisogno di cure.

In questo senso il comune di Padova ha cercato di dare un seguito a questi timidi passi avanti attraverso la mediazione di diversi enti che, come Sanitari per Gaza e la cooperativa Orizzonti, si sono occupate della cura a trecentosessanta gradi, non limitandosi all’assistenza sanitaria ma gestendo anche vitto e alloggio.

Grazie all’intervento e all’interesse di molte realtà volontarie e alla collaborazione delle comunità palestinesi di Trieste e Padova, è stato finalmente possibile accogliere tre famiglie.

Il dottor Lobascio racconta che l’intera gestione di Shaymaa, la prima ad arrivare insieme allo zio Yazid, è stata affidata a una rete di volontari e studenti di lingua araba che si occupavano della sua cura quotidiana e della comunicazione. Grazie a questa comunità di sostegno Shaymaa è stata iscritta a scuola dove è stata bene accolta, ma nella quale purtroppo non riceve assistenza dal punto di vista di mediazione linguistica, come precisa Lobascio, rendendo il suo inserimento molto precario.

“Shaymaa ha perso una gamba e un braccio a causa dei bombardamenti israeliani ed è stata sottoposta a una serie di interventi che porteranno all’impianto di protesi grazie alla collaborazione dell’ospedale di Padova” continua Lobascio.

Attraverso la chiacchierata con l’assessora Colonnello, apprendo che a settembre di quest’anno si è aperta una seconda occasione di accoglienza che ha visto il coinvolgimento della prefettura e del comune di Padova con la mediazione della cooperativa Orizzonti. Questa volta si è trattato di due famiglie provenienti dall’Egitto composte da due mamme e quattro figlie di cui la più grande è Alaa, di 16 anni.

Inizialmente la mia intervista al dottor Lobascio doveva essere condotta davanti a un caffè, di corsa, ma una coincidenza di eventi fa sì che riesca a incontrare di persona le tre famiglie. Con un po’ di inglese e di Google Traduttore riescono a raccontarmi della loro quotidianità e del calore che stanno ricevendo dalla parrocchia di San Bellino, dove hanno alloggiato momentaneamente, prima della sistemazione definitiva in un appartamento privato, ma anche delle difficoltà causate dalla barriera linguistica.

Dopo aver vissuto sulla propria pelle gli orrori del genocidio e del colonialismo, Alaa sogna di studiare per poter diventare medica, mentre le altre tre sorelline, dopo aver riportato delle gravi ustioni, si stanno sottoponendo a sedute di fisioterapia, in attesa di interventi chirurgici di riparazione, a cura del dipartimento di Chirurgia Plastica di Padova.

“Questo modello ibrido tra volontariato e istituzioni però non sarebbe applicabile su vasta scala qualora il governo decidesse di aprire seriamente dei corridoi umanitari nei confronti delle persone vittime del genocidio” precisa l’assessora e per questo è fondamentale il contributo che stanno continuando a dare i cittadini e le cittadine tramite la raccolta fondi aperta dal Comune di Padova. 

Sono stati raccolti oltre 8.000 euro, ma nonostante questa piccola bolla l’impressione è che non venga compresa a pieno, soprattutto a livello internazionale, l’importanza di quello che sta succedendo e delle difficoltà vissute da queste famiglie e “per aprire dei canali umanitari come, noi auspichiamo, è più che mai necessario l’ingaggio dello Stato”, continua Colonnello.

Sfruttando una serie di  lacune istituzionali Israele non permette l’emigrazione delle persone che si trovano nella Striscia di Gaza e così l’Italia formalmente non ne permette l’accoglienza in un ricatto reciproco che spesso si riflette solo sulla pelle di queste persone perché, come conclude Lobascio,  “c’è differenza tra ospitalità e accoglienza”.

Prima di salutarci, l’assessora conclude con una riflessione che vuole andare oltre la situazione palestinese: mentre a livello mediatico spesso hanno più rilevanza notizie di violenti respingimenti o di politiche migratorie che vanno contro il diritto internazionale, eventi sottolineati trionfalmente in particolare da questo governo, altre vengono sistematicamente e strategicamente ignorate e oscurate.

È impossibile infatti non notare come l’attenzione (finalmente) puntata sul Medio Oriente da parte dei media rimanga ancora lontana da altre situazioni tragiche come il Sudan o lo Yemen e questo dimostra quanto “anche la solidarietà viva di mode”, riprendendo le parole dell’assessora. 

Storie di solidarietà come queste possono però, nel loro piccolo, diventare motivo di speranza in mezzo a tanta indifferenza e anestetizzazione di coscienze.

Per quanto ormai si rischi di sentirsi assuefatti dalle continue e martellanti notizie di morte e distruzione che rischiano di essere percepite come una nuova distorta normalità, tutto questo ci può dare un input per non dimenticare che siamo in grado di cambiare le cose, in meglio.