Ius scholae: dalla nuova cittadinanza a Roma antica

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Il tema dello “ius scholae”, argomento di forte dibattito secondo il quale non è possibile conferire la cittadinanza ad alunni provenienti da un contesto migratorio, è sempre stato sotto i riflettori dei politici e anche di recente si è riproposto nel dialogo tra le parti.

Interessante riflettere su questo tema leggendo il paper scritto da Ennio Codini (cliccando qui visualizzabile nella sua interezza). Il paper è stato scritto a proposito di una proposta di legge presentata il 9 maggio 2022. Presenta tuttavia riflessioni di stretta attualità.

Occorre iniziare a parlare di ius scholae tirando indietro la lancette dell’orologio, con una doverosa premessa: le regole che stabiliscono come, in quali forme e attraverso quali procedimenti conferire la cittadinanza sono prerogativa esclusiva degli Stati. Le cessioni di sovranità verso organismi internazionali non possono comportare ingerenze o decisioni imposte su questa materia. L’appartenenza alla comunità internazionale può, semmai, obbligare al rispetto di particolari statuti giuridici per soggetti con peculiari situazioni (si pensi ai rifugiati, ad esempio).

La cittadinanza è argomento storico, stabile e pregnante perché identifica l’appartenenza di un individuo all’interno di una comunità nazionale. Nel nostro contesto di Stato membro dell’UE, poi, l’essere cittadino italiano conferisce diritti peculiari in forza dell’appartenenza all’ ex comunità europea. Si pensi, al riguardo, a quello che viene scritto a pagina 47 dei nostri passaporti: ‘Ogni cittadino dell’Unione gode, nel territorio di un Paese terzo nel quale lo Stato membro di cui ha la cittadinanza non è rappresentato, della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato.’

Questo aspetto innovativo della cittadinanza addirittura ‘europea’ ha radici profonde.

Nell’VIII secolo avanti Cristo nel colle Palatino i villanoviani si sono organizzati come nuova civiltà lì giunta:  gestirono i loro rapporti economici, stabilirono le norme (rudimentali) del quieto vivere e, ciliegina sulla torta, si posero una domanda. Se un signore rompe gravemente la pax deorum, magari mancando di rispetto alla proprietà privata altrui, come lo sanzioniamo?

In questa fase primordiale di quello che sarà l’antico impero romano si deciderà, prima di punire con la sacertà chi viola i confini, di escludere ed espellere dalla comunità il colpevole che non più appartenente alla gens ma diviene peregrino, escluso. Col linguaggio odierno diremo che gli viene revocata la cittadinanza. Esclusi dalla comunità dovevano lasciare il villaggio che comportava perdere la salute e talvolta la vita, perché visti come ostis pericolosi dagli altri villaggi.

La proposta di legge parla a riguardo di ius scholae per rimarcare la rilevanza attribuita appunto alla scuola per l’accesso alla cittadinanza. La nuova possibilità di divenire cittadini italiani riguarderebbe i figli di stranieri aventi i seguenti requisiti: 

− nascita in Italia, o inizio del soggiorno in Italia entro il compimento del dodicesimo anno d’età; 

− successiva residenza legale e senza interruzioni nel nostro Paese; 

− aver “frequentato regolarmente, nel territorio nazionale, per almeno cinque anni, uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una qualifica”. 

In presenza dei requisiti di cui sopra l’acquisto potrebbe avvenire: − “a seguito di una dichiarazione di volontà in tal senso espressa, entro il compimento della maggiore età dell’interessato, da entrambi i genitori legalmente residenti in Italia o da chi esercita la responsabilità genitoriale, all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore”, oppure: − su richiesta dell’interessato, una volta divenuto maggiorenne, entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.

Ovviamente tale procedura va ad aggiungersi alle altre, davvero innumerevoli e complesse, modalità per il conferimento della cittadinanza regolate dal citato testo unico.

La riforma dello ius scholae è considerata opportuna per due motivi principali. In primo luogo, permetterebbe ai giovani di origine straniera, nati o cresciuti in Italia, di acquisire la cittadinanza prima della maggiore età, riducendo il numero di ragazzi che, al compimento dei 18 anni, si trovano senza cittadinanza. Attualmente, molti giovani devono affrontare difficoltà nel regolarizzare la loro posizione legale e mancano dei diritti politici, il che può portare a crisi di identità e relazione con le istituzioni.

In secondo luogo, legare la cittadinanza al contesto scolastico aiuterebbe a promuovere una formazione civica, rendendo la scuola un luogo chiave per lo sviluppo del senso di appartenenza alla comunità italiana. In questo modo, la riforma non solo faciliterebbe l’accesso alla cittadinanza, ma contribuirebbe anche alla costruzione di una società più inclusiva.

La scelta di adottare lo ius scholae da parte della Commissione affari costituzionali della Camera è opportuna, ma presenta alcune criticità. In primo luogo, il requisito della residenza legale e senza interruzioni dalla nascita o dall’arrivo in Italia solleva perplessità. La residenza legale, definita dall’art. 1 del regolamento della legge n. 91, richiede che uno straniero soddisfi le condizioni relative all’ingresso e soggiorno. Tuttavia, i minori “irregolari” sono trattati in modo diverso e godono degli stessi diritti degli altri minori, inclusi quelli legati all’obbligo scolastico. Questo solleva dubbi sul fatto che la residenza legale possa essere un criterio discriminante in un progetto che si basa sulla frequenza scolastica.

In secondo luogo, il requisito della residenza continua è problematico. Si chiede se sia necessaria una continuità ulteriore oltre quella già richiesta per la frequenza scolastica. Ci si interroga anche su come periodi di soggiorno nel paese d’origine possano influenzare tale continuità.

Inoltre, la condizione che l’acquisto della cittadinanza avvenga “a seguito di una dichiarazione di volontà” da parte di entrambi i genitori residenti in Italia solleva ulteriori perplessità. La condizione di “legalmente residenti” appare ingiustificata, poiché la cittadinanza dovrebbe dipendere dal diritto del minore, non dalla situazione dei genitori.

Infine, il testo prevede che l’acquisto della cittadinanza avvenga solo dopo aver frequentato la scuola per almeno cinque anni, ma questo può disallineare il momento dell’acquisto con quello in cui i giovani cominciano a riflettere sulla propria identità civica. Inoltre, la possibilità di acquisire la cittadinanza al termine della scuola primaria non si allinea con il percorso di educazione civica, che si completa nella secondaria di secondo grado.

La mancanza di riferimenti a misure di adeguamento della disciplina scolastica è preoccupante. Si suggeriscono due misure: valorizzare la figura del mediatore culturale come collegamento tra scuola, famiglia e comunità, e creare una giornata dedicata alla celebrazione dell’acquisto della cittadinanza, per rendere il processo più significativo e celebrativo, simile a pratiche in altri Paesi.

Ritornando ai nostri amici romani… 

Tutta la storia dell’impero di Roma si basa su conflitti più o meno cruenti sulla cittadinanza: pensiamo ai socii, pensiamo ai patti coi latini e con i più sfortunati italici. Sono passati secoli ma nulla è cambiato: l’essere cittadino significa avere un riconoscimento formale di status, un riconoscimento che consente prerogative e l’adempimento di doveri.

Con la consitutio antoniniana si deciderà, infine, di concedere la cittadinanza quasi a tutti i residenti dell’impero, un gesto che non ha unicum nella storia dell’umanità. Quindi i romani sono stati più coraggiosi della proposta di legge: l’hanno estesa a tutti (la cittadinanza) seppur con un percorso improntato alla gradualità.

I romani al raggiungimento della massima estensione del diritto di cittadinanza hanno avuto, tra gli altri, il vantaggio di avere più soggetti tenuti al pagamento delle imposte. Grazie alle imposte pagate nel tempo ancora oggi passiamo a piedi sulle strade da loro costruite.

Questi elementi storici, uniti al presente, fanno riflettere.