Il ruolo dei disastri climatici nella crisi dei migranti in Libia

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Gli eventi estremi legati al cambiamento climatico stanno colpendo il globo con intensità e frequenza sempre maggiori. Alluvioni, frane, inondazioni, uragani e siccità generano disagi profondi che investono ogni aspetto della vita delle popolazioni colpite, influenzando le economie locali, la salute pubblica e l’intero tessuto sociale.

L’intensificarsi di questi eventi sta alimentando un fenomeno sociale noto come migrazione ambientale, ovvero lo spostamento forzato di persone costrette a lasciare le proprie terre a causa di disastri ambientali. La migrazione ambientale non è solo una risposta a eventi improvvisi, ma anche a fenomeni climatici più lenti come la siccità o desertificazione.

Uno dei casi più recenti fa riferimento a ciò che è accaduto in Libia a settembre 2023, quando il ciclone Daniel si è abbattuto sulle zone della Bulgaria, Grecia, Egitto, Israele, Turchia e Libia danneggiando rovinosamente e piegando in ginocchio la popolazione di quest’ultima.

Questo ciclone, descritto come un “medicane” (un uragano mediterraneo), ha devastato il paese causando migliaia di morti e ingenti danni; la città di Derna, casa di oltre 100.000 residenti, è stata colpita in particolar modo a causa dell’ulteriore collasso di due dighe presenti in città.

Questo ciclone, unito alla rottura delle due dighe Derna-Belad e Abu Mansour, ha causato oltre 6.000 decessi, 44.862 sfollati interni e ulteriori 1.715 migranti sfollati a causa dell’alluvione.

I problemi riportati non si limitano solo alla distruzione o deterioramento delle infrastrutture, ma si allargano anche a problemi di portata maggiore di natura sanitaria: si sono registrate contaminazioni alle acque e all’impianto idrico del paese conducendo all’assenza di acqua potabile e non contaminata; ciò ha portato al diffondersi di varie malattie e malesseri. Inoltre, anche le strutture ospedaliere sono state messe a dura prova, le quali non potevano più operare in quanto considerate inagibili.

La mancanza di alloggi sicuri, l’acqua contaminata e l’assenza di un sistema sanitario funzionante hanno costretto migliaia di persone a lasciare le loro abitazioni. Tra di loro, vi erano molti rifugiati e migranti che già si trovavano in Libia, spesso in condizioni precarie, nella speranza di poter raggiungere l’Europa. Il disastro ha accentuato ulteriormente la loro vulnerabilità: molti di questi migranti ambientali, privi di supporto e ormai senza risorse, hanno tentato di proseguire verso l’Europa attraversando il Mediterraneo, spesso a bordo di imbarcazioni di fortuna. Altri hanno cercato rifugio in città limitrofe o in campi per sfollati gestiti dalle Nazioni Unite e organizzazioni umanitarie, in cerca di sicurezza e assistenza di base.

La crisi ambientale in Libia ha così messo in luce le sfide affrontate da queste persone che, oltre a fuggire da contesti di conflitto e instabilità, si trovano ora esposte anche ai crescenti rischi legati ai cambiamenti climatici, trovandosi a metà strada tra una Libia devastata e il pericoloso tragitto verso l’Europa.

Purtroppo, eventi come il ciclone Daniel non sono più casi isolati, ma parte di una tendenza globale sempre più frequente che si riflette su scala locale e internazionale.

Questi disastri ci spingono a riflettere su come affrontare il fenomeno della migrazione ambientale, riconoscendo la responsabilità globale e lavorando per proteggere le popolazioni più a rischio.

Questo apre la strada a un dibattito cruciale e complesso: quello della giustizia climatica. Riconoscere la responsabilità collettiva nel sostenere i Paesi e le comunità più vulnerabili agli impatti climatici,  è essenziale per affrontare le disuguaglianze che il cambiamento climatico accentua. Questo tema avrà un ruolo centrale nella prossima COP29 di Baku, dove sarà strettamente legato alla questione della finanza climatica, il focus principale della Conferenza di quest’anno. Le discussioni punteranno a mobilitare risorse e strumenti per supportare gli Stati più esposti, promuovendo soluzioni sostenibili e inclusive a livello globale.