Chi è un migrante

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Chi è un migrante? Il termine viene utilizzato spesso, strumentalizzato altrettanto, nel descrivere chi lascia il proprio Paese per stabilirsi altrove. In generale, include categorie molto diverse tra loro: chi fugge da guerre; chi cerca migliori opportunità lavorative e più in generale economiche (anche la “fuga di cervelli” è una migrazione); chi si allontana da zone rese inabitabili dalla crisi climatica o disastri ambientali di altro tipo. Dal punto di vista giuridico la definizione del “migrante” è problematica, mentre il “rifugiato” gode di uno stato giuridico ben delineato nel 1951 dalla Convenzione di Ginevra. Nel diritto internazionale la distinzione principale viene fatta tra chi migra per motivi economici e chi richiede, e poi ottiene, protezione internazionale. La Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati definisce “rifugiati” coloro che non possono tornare nel proprio Paese perché perseguitati sulla base di etnia, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale, opinioni politiche. Ma se non si è perseguitati? Se si lascia casa propria per un altro motivo? Chi, cosa, si è allora?

Al centro di numerose rotte migratorie, l’Unione Europea, così come l’Italia, deve affrontare da anni il tema delle frontiere e della loro sicurezza, senza un interesse specifico nella creazione di uno status giuridico per i migranti.

Pur concentrandosi soprattutto sui richiedenti asilo, è del 1990 la Legge Martelli, una delle prime normative italiane a cercare di disciplinare l’immigrazione attraverso l’introduzione di un quadro per il rilascio dei permessi di soggiorno e la regolazione dei flussi migratori.

Uno sguardo più ampio e un breve salto temporale portano alla Convenzione di Dublino, in vigore dal 1997 con il Regolamento di Dublino III, che è chiara nel determinare che il primo Paese dell’Unione Europea dove un richiedente asilo mette piede è responsabile della sua domanda di asilo. Il Regolamento di Dublino III è stato fortemente criticato negli anni per, tra le altre cose, le forti disuguaglianze causate proprio nella gestione delle domande di asilo. E al suo interno non si trova nessuna definizione giuridicamente valida di “migrante”. Nemmeno la Legge Bossi-Fini del 2002, che ha imposto vincoli più stringenti per l’ottenimento dei permessi di soggiorno, ha portato di conseguenza a un’opera di approfondimento sulla terminologia usata.

Negli ultimi decenni sono stati fatti numerosi tentativi atti a formalizzare una definizione condivisa di “migrante” e proteggere così i diritti delle persone che per qualunque motivo si spostano, spesso con non poco sacrificio, da un Paese all’altro.

Nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, ad esempio, le Nazioni Unite hanno riconosciuto la migrazione come una componente fondamentale dello sviluppo sostenibile. L’umanità non è mai stata davvero ferma, ce lo dice la storia, e l’Agenda 2030 con il suo decimo obiettivo, “Ridurre le disuguaglianze”, sottolinea l’importanza di politiche per una migrazione che avvenga “in modo ordinato, sicuro, regolare e responsabile”. Nonostante questo, e il lavoro intenso dietro il documento “Migration in the 2030 Agenda” pubblicato nel 2017 dall’International Organization for Migration, il termine “migrante” resta generico.

Nel 2018 le Nazioni Unite hanno approvato il Patto Globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare, il primo documento internazionale ad affrontare la cooperazione tra Stati necessaria per migliorare le condizioni dei migranti, garantire i diritti umani e combattere la tratta. I punti deboli del Patto sono, però, la sua natura di patto non vincolante, influenzato fortemente dalla volontà politica degli Stati, e l’assenza, ancora una volta, di uno status giuridico specifico, una definizione del “migrante”.

I vari Decreti Sicurezza adottati durante il governo Conte I, e in una certa misura modificati durante il Conte II con un ripristino parziale dei diritti dei richiedenti asilo, hanno introdotto nuove restrizioni relative i permessi di soggiorno, di nuovo senza riuscire a definire con certezza l’oggetto, se così si può definire un umano con sogni e bisogni che lo portano altrove, di norme e lavori.

Nel 2020 è cominciato il percorso che ha portato, all’aprile 2024, all’approvazione del Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, che “delinea un approccio globale, che contempla le politiche nei settori della migrazione, dell’asilo, dell’integrazione e della gestione delle frontiere, […] Crea processi migratori più rapidi e fluidi e una governance più forte delle politiche in materia di migrazione e frontiere, […] Mira a ridurre le rotte non sicure e irregolari e a promuovere percorsi legali sostenibili e sicuri […] Rispecchia il fatto che la maggior parte dei migranti arriva nell’UE attraverso canali legali”. Gli attori coinvolti (la Commissione Europea, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera meglio nota come Frontex, il Parlamento e il Consiglio europei) non hanno proposto una definizione dell’identità del “migrante” e il documento lascia ai singoli Stati una grande libertà di gestione. Tutt’oggi il termine “migrante” viene utilizzato senza avere a supporto una definizione giuridica universale, un aspetto ambiguo che crea non poche difficoltà nei contesti amministrativi, giudiziari e umanitari. Pur essendo al centro del dibattito internazionale, e nonostante la crescente consapevolezza dell’impatto che catastrofi di vario tipo hanno e avranno sugli spostamenti di massa, la problematica non sembra vedere all’orizzonte soluzioni di sorta.