Il paradosso di Bridgerton

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Bridgerton è una serie TV nata nel 2020, diretta da Chris Van Dusen e ispirata alle opere della scrittrice Julia Quinn. La serie è ambientata nella città di Londra durante la Social Season, ossia il periodo dell’anno in cui la nobiltà britannica lascia le tenute del countryside per vivere la vita della capitale. La prima stagione si svolge nell’anno 1813, quando la più grande fra le figlie del Visconte Bridgerton, Daphne, debutta in società. Le serie successive si svolgono rispettivamente nel 1814 e nel 1815, vedendo come protagonisti dapprima Anthony Bridgerton, erede del titolo di Visconte alla morte del padre, e poi Colin Bridgerton, terzo figlio maschio della famiglia, amante dell’avventura e della scrittura.

Ammetto di aver iniziato la serie quest’anno, dopo che l’uscita della terza stagione ha sollevato un tale polverone da finire ovunque sui social. Non si sentiva parlare d’altro. Sembrava si trattasse dell’emblema del femminismo contemporaneo e che finalmente la body positivity fosse rappresentata all’interno di un prodotto commerciale di grande successo. Tuttavia, per la maggior parte mi sbagliavo.

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La prima stagione presentava già diversi aspetti problematici; ma prima di entrare nel vivo, può essere utile parlare brevemente della trama per coloro che ancora non hanno visto la serie. Come anticipato, Daphne Bridgerton debutta in società davanti alla Regina Carlotta, consorte di Giorgio III e viene da lei nominata il “diamante” della stagione, diventando brevemente ambita da un cospicuo numero di ammiratori, bramosi di infilarle un anello al dito. Nel frattempo, Simon Basset, Duca di Hastings e grande amico del fratello maggiore di Daphne, Anthony, torna a Londra per alcune questioni di amministrazione dei suoi terreni.

Intanto, senza alcuna apparente ragione, Anthony impedisce a qualsiasi ammiratore di interfacciarsi con la sorella Daphne e le sceglie come sposo un viscido barone molto più grande di lei. Daphne decide così di chiedere aiuto a Simon al fine di simulare un corteggiamento, così che gli ammiratori allontanati dal fratello ritrovino interesse per lei e il Duca ottenga un po’ di pace dalle pressioni sociali che lo vogliono sposato e con figli. L’evidenza che i due si innamoreranno non è tanto dovuta ad una sapiente costruzione registica, quanto più dalla chiara tensione sessuale fra i protagonisti. Infatti, i due non sembrano avere molto altro da spartire se non il desiderio di infilarsi sotto le lenzuola con l’altro. Le conversazioni sono noiose, superficiali e spesso prive di logica. La “chimica” di cui si è tanto parlato, mi è risultata totalmente insussistente.

Ad ogni modo, la storia d’amore si sviluppa tra scene inutilmente drammatiche, come il duello fra Anthony e Simon, e buchi di trama che lasciano perplesso l’osservatore un po’ più attento. Fra una scena e l’altra, si scopre che Simon non vuole sposare Daphne perché ha promesso al suo crudele padre morente che mai gli avrebbe lasciato un erede. Daphne, ignara delle ragioni, accetta di sposare Simon anche se lui le dice che non potrà mai avere figli. Dunque la giovane rinuncia a tutto (e in particolare ad una vita a Vienna con il Principe di Prussia) per un uomo che non solo non è sincero con lei, ma che non può darle una delle cose che più vuole al mondo: una famiglia come la sua.

A seguito di un matrimonio anticipato per l’intercessione della Regina Carlotta (e grazie ad un discorso mieloso e francamente imbarazzante di Simon), inizia la luna di miele della coppia, un soft porn abbastanza ripetitivo durante il quale Daphne comincia a sospettare che non sia vero che Simon non possa avere figli, semplicemente sembra non volerne. Di fronte al dubbio, anziché parlarne con il marito nell’ottica di una relazione coniugale basata sul dialogo, Daphne sfrutta un rapporto sessuale per impedire a Simon di spostarsi al momento dell’eiaculazione e per poter rimanere incinta.

Non nego che la scena mi ha disgustato. I problemi di consenso sono lampanti e forse non sono stati sottolineati abbastanza per il fatto che la violenza è esercitata su Simon, un uomo. Se da un lato vediamo Daphne piangere quando dopo alcuni giorni le lenzuola si macchiano nuovamente di rosso, impedendole ancora una volta di diventare madre, il disagio di Simon non è trattato ed è relegato sullo sfondo. Trovo estremamente disturbante che comportamenti tossici e violenti vengano rappresentati come giustificati alla luce di una bugia. Obbligare un uomo a dover andare incontro alla gravidanza della compagna, quale che sia la ragione alla base del suo diniego, è una violenza a tutti gli effetti e come tale merita che venga dipinta, non come una vendetta “accettabile”.

Tornando alla coppia, i rapporti inevitabilmente si deteriorano, come è normale che sia. Dopo qualche altra scena soft porn di dubbia necessità (e realismo), un banale discorso di Daphne convince Simon che avere una famiglia non è poi così male e la serie finisce con la nascita di Auggie, il futuro Duca di Hasting. Quest’ultima parte della serie manca totalmente di logica e coerenza, in quanto al momento del discorso di Daphne, non è cambiato nulla in Simon che potrebbe giustificare la decisione di avere figli. Come amava Daphne prima, la ama nelle ultime scene. Non c’è un’evoluzione del rancore nei confronti del padre e non c’è nulla che giustifichi davvero la sua scelta.

Il fatto che Simon rifiutasse di avere figli per fare un dispetto a suo padre può essere considerato immaturo, ma è pur sempre una sua scelta. In nessuna scena dell’intera serie, Simon mostra attrazione per la paternità e fino alla fine il messaggio che passa all’osservatore è che si stia facendo andare bene la questione “figli” per fare un favore alla moglie. Lo trovo inaccettabile. In un mondo dove diventare genitori è finalmente (almeno in teoria) una scelta, non è ammissibile dipingere una tale superficialità di decisione e farla passare come amore vero. Il problema più grande, per me che ho guardato la serie, è stato proprio la consapevolezza che adolescenti di tutto il mondo – guardando la prima stagione di Bridgerton – si convincano che in un rapporto sano si possa e si debba scendere a compromessi su questioni fondamentali come il voler essere genitori per il bene dell’altra parte. Non è ammissibile che il bene al centro del discorso non sia, invece, quello del bambino che verrà al mondo e che passerà la vita con un padre che avrebbe preferito non averlo e che lo percepisce come un dono alla moglie. Si tratta di una persona, non di una macchina nuova.

Dunque la mia opinione della prima stagione di Bridgerton è un’insufficienza moderata, in quanto i numerosi aspetti negativi elencati si temperano con una rappresentazione più vivace della sessualità femminile (e ce n’è sempre bisogno) e con alcuni messaggi indubbiamente importanti, come l’invito per i genitori a parlare apertamente di sesso con i propri figli, perché difficilmente – se non lo fanno loro – ci sarà qualcuno che li educherà adeguatamente.

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La seconda stagione – per quanto mi riguarda – ha una qualità narrativa e contenutistica migliore. Ho adorato la storia d’amore fra Anthony Bridgerton e Kate Sharma e – seppure anche qui ci siano tematiche lasciate a metà e bizzarre incoerenze di trama, non penso che ci siano grossi problemi relativi ai messaggi che passano. Anzi, l’indipendenza di Kate e il suo grande coraggio tengono incollati allo schermo dall’episodio 1 all’episodio 8. Certo è che il tempo dedicato alla coppia sarebbe potuto essere di più, ma viene fatto un buon lavoro nel mostrare passo dopo passo come i due protagonisti si siano innamorati l’uno dell’altra.

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La terza stagione è stata forse quella verso cui nutrivo più aspettative, perché la protagonista femminile sarebbe stata Penelope Faetherington, ossia la persona dietro Lady Whistledown, redattrice scandalistica che con le sue colonne ha infiammato l’atmosfera delle social season di Londra fin dalla prima stagione. Penelope è la terza figlia dei Faetherington, l’unica ancora nubile, in parte per la sua conformazione corporea che la vede molto più grassa delle sue sorelle – già sposate e incinte – e in parte per la sua estrema timidezza, che la relega a elemento di arredamento più che a persona durante gli eventi sociali. Ora, senza entrare nel realismo di una rappresentazione che vede le donne grasse percepite come brutte in un periodo storico in cui non era così, la scelta di mostrare fisicità differenti sugli schermi di Netflix credo sia apprezzabile. Inoltre, Bridgerton ha reso chiaro fin dal principio che il suo obiettivo non era una rappresentazione storicamente verosimile della società londinese del tempo, in quanto fra marchesi e baroni si trovano attori con le origini etniche più varie, dall’India, al Medio Oriente, fino all’Africa Subsahariana.

Invece, ciò che più mi ha turbato della storia d’amore fra Colin e Penelope è – ancora una volta – la totale mancanza di trasparenza da parte di uno dei partner, incompatibile con un rapporto amoroso rispettoso. Penelope mente ripetutamente a Colin, considera di confessare i propri peccati solo quando spinta forzatamente dall’amica Eloise, e alla fine Colin scopre la sua vera identità solo dopo averla seguita di nascosto. Seppure Penelope non sia tenuta a confidare a Colin di essere un’affermata autrice, sicuramente è tenuta a rivelargli di essere stata lei a sabotare il suo matrimonio con Marina Thompson durante la prima stagione e ad avere rovinato la reputazione di Eloise – sorella di Colin – durante la seconda. E il fatto che Colin per poterne venire a conoscenza, debba mettere in atto un comportamento tendenzialmente tossico (pedinare non è sicuramente un buon modello da cui prendere esempio quando viene a mancare la fiducia nel partner), è ancora più problematico.

In generale ritengo che la questione si possa riassumere con: Penelope non è una bella persona, si comporta spesso in maniera spiccatamente egoista e sfrutta il potere che ha per ottenere ciò che vuole a discapito di chi le sta intorno. La ragione per cui dovrebbe essere la protagonista di una storia dipinta come “estremamente romantica” non è chiaro. Così come non è chiaro come e perché Colin sviluppi sentimenti per Penelope, compito delegato ad un sogno erotico dopo un bacio “di compassione” fra i due. In generale, ho trovato questa stagione ancor più deludente della prima, lenta e con troppe linee narrative, che hanno finito con il relegare quella che sarebbe potuta essere una storia di riscatto e di crescita, a una storia come qualsiasi altra.