I Mulini della resistenza NoTav
Senza tregua, i NoTav continuano la lotta per la preservazione del loro territorio. A lanciare l’allarme le numerose unità schierate tra polizia, carabinieri e guardia di finanza accompagnate dal corpo speciale dell’esercito denominato Cacciatori di Sardegna, solitamente impiegato nelle zone di montagna per ricercare latitanti. Da sabato 20 giugno, a seguito di nuovi movimenti nel cantiere in Val Clarea, il movimento NoTav si è dichiarato in stato di mobilitazione permanente creando un presidio di attivisti e attiviste nell’area “dei mulini”, adiacente al torrente che dà il nome alla valle e composta da antiche case.
Per sapere come procede la resistenza abbiamo contattato Fabrizio, già ascoltato dai microfoni di Change the Future in una precedente intervista.
Da più di un mese sorvegliate la Val Clarea dal presidio dei Mulini. Cosa rappresenta per voi questa zona e perché avete scelto questo luogo per opporre resistenza al proseguimento dei lavori?
Prima di tutto è importante precisare che quella dei vecchi mulini non è un’occupazione abusiva, infatti le storiche strutture e il relativo terreno sono affittati a due amici NoTav. L’affittuario ha concesso dunque in uso, con regolare contratto, la proprietà privata e ciò dovrebbe in teoria impedire qualsiasi tentativo di sgombero da parte delle forze armate. Abbiamo scelto di piazzare il presidio ai mulini per via della loro posizione strategica, il fine è utilizzarli come base per controllare i lavori e i movimenti nel cantiere. Entro lo scorso mese dovevano infatti iniziare i lavori nella zona della Clarea, ma a parte la realizzazione di un piccolo ponte in acciaio per attraversare il torrente, i lavori sono praticamente fermi.
Il presidio è una forma di socialità, i giovani sono coloro che partecipano di più. Chi è al presidio permanente o sta sui tetti dei mulini o gira l’area. Ovviamente c’è la possibilità di rifornire con beni prima necessità, cosa che avviene quotidianamente visto che ogni giorno parte dal campo sportivo di Giaglione una passeggiata che raggiunge il cancello dell’allargamento dei lavori in Clarea, dove la polizia non manca mai. Da venerdì (24 luglio) la polizia ha rotto la piccola diga sul Clarea che deviava una parte dell’acqua del torrente ai Mulini tramite la fontana all’interno del presidio: bisogna dunque prelevare l’acqua potabile fuori dal presidio e portarla percorrendo sentieri impervi. Il metodo è quindi quello di fiaccare la resistenza di chi si oppone al cantiere negando un diritto fondamentale come quello dell’accesso all’acqua.
Venerdì scorso le forze armate hanno provato a sgomberare il presidio, com’è andata?
Mio figlio si trovava di turno verso le 6.30, quando la polizia è entrata tramite gli ingressi laterali delle barricate facendo scattare l’allarme all’interno del presidio dove tutti si sono arrampicati sui tetti e sugli alberi per resistere passivamente e pacificamente il più a lungo possibile. Il livello delle forze schierate era impressionante con i ragazzi, una quindicina, che si sono ritrovati accerchiati. Ovviamente vista la situazione il movimento è stato chiamato a raccolta e abbiamo raggiunto il presidio per dare sostegno ai ragazzi.
I militari hanno demolito le barricate e adesso presidiano a valle e a monte sulla strada agricola dove ci sono agenti, fermi a cento metri a est e a cento metri a ovest, impedendo la costruzione di nuove barricate. Non c’è logica nell’attacco dei militari: non lasciano usare i mulini, in una zona non interessata da ampliamento. A parte la prova di forza non capisco che interesse hanno, non capisco queste azioni: perché tirare lacrimogeni a ragazzi di 15-16 anni?
Alla luce di questi avvenimenti, con un così consistente dispiegamento di militari, qual è lo stato di avanzamento dei lavori?
Partiamo sempre dal fatto che qui passa una linea internazionale, i doppi binari che arrivano a Bardonecchia e su cui viaggia il Frecciarossa, che è più che sufficiente per i bisogni che servono alla zona. La linea ferroviaria, tra l’altro, è stata ribassata per far passare i container nel traforo del Frejus. Noi facciamo un discorso tecnico e su questo siamo vincenti. A confermare quanto diciamo la Corte dei conti europea ha messo in dubbio l’intero processo di valutazione sottolineando diverse criticità e bollando la “grande opera” come costosa, in ritardo e poco sostenibile. A ciò si aggiunge il fatto che prima del 2035 la Francia non farà il collegamento: anche il neoeletto sindaco di Lione ha dichiarato che la linea non è prioritaria. Adesso gli scambi sono diversi, le tratte sono diverse, non ci sono più neanche le macchine della Fiat da trasportare. L’unico “guadagno” che finora da valsusini abbiamo avuto da questi lavori sono i rischi ambientali, correlati al disboscamento, e i rischi sanitari legati agli scavi di terreni ricchi di amianto, come il deposito venutosi a creare a Sambeltrand, pericolosissimo visto il vento permanente dell’area, e che solo l’intervento della magistratura ha obbligato a coprire con dei teli.
Tutto questo testimonia quanto la forza politica e finanziaria che sta dietro alla realizzazione della TAV sia prepotente, mentre per noi la soluzione è una soltanto: resistere per esistere.