Il male nel mare
Il rinnovo della proibizione di pesca e commercializzazione delle oloturie, dette anche cetrioli di mare, è stato siglato anche per il 2020. Questi animali sono veri e propri “spazzini” che contribuiscono a preservare i delicati equilibri degli ecosistemi e della biodiversità marina. Il divieto è stato possibile anche grazie a Marevivo, già protagonista anni fa del primo provvedimento, un’associazione nazionale nata nel 1985 e che a oggi vanta un’ampia esperienza nella tutela del mare e delle sue risorse.
«Ricordiamo che l’ecosistema marino produce più del 60 per cento dell’ossigeno che respiriamo» afferma Rosalba Giugni, presidente di Marevivo, a proposito della pesca delle oloturie «e assorbe un terzo dell’anidride carbonica, uno dei gas responsabili dei cambiamenti climatici. Ma perché tutto ciò avvenga è necessario preservare l’equilibrio dell’ecosistema marino tutelando dal più grande cetaceo al più piccolo essere vivente».
Le oloturie possono formare delle popolazioni molto numerose, specialmente in profondità: costituiscono la metà delle forme viventi a 4.000 metri ed il 90% a 8.000 metri. Possiedono inoltre grandi capacità rigenerative: sono infatti in grado di espellere i propri organi interni per distrarre un eventuale predatore e fuggire, in seguito rigenerano gli organi in breve tempo.
Essendo organismi filtratori possono assorbire virus, batteri e metalli pesanti, per questo il consumo indiscriminato di questi animali mette a rischio anche la nostra sicurezza alimentare. Molto richiesti dai mercati orientali e fonte di importanti guadagni, erano arrivati a rischio estinzione: in certi paesi alcune specie di cetrioli di mare particolarmente pregiate possono costare fino a tremila dollari al chilo.
L’associazione Marevivo ha reso possibile il rinnovo della proibizione al prelievo nei nostri mari di questi animali e, inoltre, organizza continue pulizie di spiagge, fondali e foci dei fiumi nelle quali vengono recuperate tonnellate di rifiuti grazie all’aiuto dei volontari. Può anche contare sul contributo di operatori e professionisti per sensibilizzare riguardo la salvaguardia dell’ambiente e del mare. Nel 1989 viene creata la Divisione Subacquea che si occupa della pulizia dei fondali. Nel 2014 è nato il progetto PFU Zero che affronta il problema degli Pneumatici Fuori Uso abbandonati illegalmente. La Divisione Subacquea, in collaborazione con le Amministrazioni comunali, le Capitanerie di Porto e la Marina Militare organizza delle giornate di raccolta in cui il consorzio Ecotyre ritira gratuitamente gli pneumatici recuperati avviandoli al corretto recupero.
Un altro progetto portato avanti dall’associazione è l’Operazione Reti Fantasma che si occupa di recuperare le reti abbandonate. Queste, infatti, sono una delle minacce più grandi per l’ecosistema e per la fauna marina che vi rimane impigliata. In più, sminuzzandosi, favoriscono il disperdersi delle microplastiche che vengono ingerite dagli animali. Studi recenti hanno calcolato che le reti abbandonate costituiscono fino al 70 percento di tutta la microplastica presente nei nostri mari.
Per far fronte al problema dell’inquinamento marino si è dato inizio a molteplici progetti, da ogni parte del mondo.
“Fishing for litter” è il nome di un’iniziativa della Regione Lazio finalizzata a raccogliere rifiuti in mare. Venticinque pescherecci sono coinvolti e coprono la costa tra Capo Linaro e Capo D’Anzio. Questi pescatori, provenienti da Fiumicino e Civitavecchia, hanno raccolto 10 tonnellate di immondizia in dodici settimane. Durante le quotidiane operazioni di pesca a strascico, tutto il materiale recuperato viene separato e inviato ad un centro di recupero. Della maggior parte dei rifiuti, che consiste in plastica, viene valutata la riciclabilità per trasformare una minaccia ambientale in una reale opportunità economica.
Un progetto molto simile, chiamato appunto “Fishing for litter”, è stato ispirato da un isolato peschereccio olandese che nel 2001 aveva già iniziato la sua battaglia per pulire l’oceano. Nel 2004 KIMO International riunisce una serie di nazioni del nord Europa come l’Olanda, la Scozia, l’Inghilterra, la Norvegia e altre per rendere tutto efficiente su larga scala. I pescatori sono tutti volontari e vengono riforniti di grosse buste per dividere i rifiuti raccolti.
L’iniziativa è cresciuta molto e attualmente in Olanda ci sono 124 pescherecci attivi ogni giorno, che in un anno sono riusciti a recuperare fino a 221 tonnellate di rifiuti.
In Italia ci sono stati degli esempi passati come il “Molfetta Fishing for Litter” istituito dalla Regione Puglia e il “Tuscany Fishing for Litter”, un esperimento durato 6 mesi, che è stato il primo esempio di economia collaborativa e circolare in Europa e Italia. Infatti, i rifiuti dei pescatori venivano caricati in porto per essere analizzati, classificati e destinati al riciclo o allo smaltimento. Unicoop ha destinato ai pescatori parte del ricavato dalla tassa per le buste biodegradabili dell’ortofrutta, come piccolo contributo, e la Guardia Costiera ha supervisionato sul corretto svolgimento delle operazioni in mare.
Ma tutte queste iniziative sbiancano se paragonate a posti come Palau dove è stato proibito l’uso di creme solari. Anche Bonaire, un’isola dei Caraibi, ha annunciato che un divieto simile entrerà in vigore nel 2020, mentre nello stato delle Hawaii lo si prevede per il 2021. Così solo le creme solari “reef-safe” saranno ammesse dopo che è stata rivelata la pericolosità per coralli e pesci. Infatti, ogni giorno, da tre a cinque litri di crema solare finiscono nell’oceano nei punti di immersione di Palau, ed è, tra le altre cose, la causa dello sbiancamento dei coralli. Non molto tempo fa il piccolo stato della Micronesia aveva già vietato le creme solari chimiche nel Jellyfish Lake, una delle attrazioni turistiche più famose del paese, dove si nuota circondati da migliaia di meduse innocue.