Humana Vintage: l’alternativa sostenibile al fast fashion?

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Che il settore tessile sia tra i più inquinanti al mondo non è un segreto, basti pensare che la sola Cina produce più di 20 milioni tonnellate di rifiuti legati alla moda. Dal resto del mondo provengono dati ancora più allarmanti: si stima che ogni anno l’85% di prodotti tessili finisca in discarica.

L’industria del fast-fashion è cresciuta rapidamente negli ultimi anni e con molta probabilità continuerà a farlo fino a raggiungere un valore di oltre 200 miliardi entro il 2030. Attualmente è considerata come una delle maggiori cause dell’inquinamento: il settore tessile è responsabile dell’emissione del 10% delle emissioni di CO2 globali. I prezzi dei prodotti spesso bassissimi, come quelli del colosso SHEIN, sono un enorme incentivo all’acquisto, soprattutto per i più giovani. Tuttavia, la produzione di ogni capo ha dei costi elevati se pensiamo all’impatto ambientale e sociale (inquinamento ambientale e sfruttamento dei lavoratori, per citare un paio di conseguenze).

Proprio per cercare almeno in parte di contrastare queste problematiche, la catena di negozi Humana Vintage, considerabile come la prima catena di negozi second-hand di moda sostenibile, si è posta sul mercato come una valida alternativa con il fine di mitigare gli effetti dannosi derivanti della moda fast-fashion in cui i vestiti sono considerati come prodotti usa e getta, invecchiano rapidamente a causa dei nuovi trend che si susseguono uno dopo l’altro e dei materiali spesso scadenti di cui sono fatti. 

Humana People To People Italia è un’Organizzazione Umanitaria nata nel 1998 il cui scopo è favorire uno sviluppo sostenibile del settore tessile e promuovere la cultura della solidarietà. La filiera che contraddistingue Humana ha la caratteristica di essere totalmente trasparente in termini economici (i bilanci di esercizio e i report annuali sono pubblici), di rendicontazione e di controllo per quanto concerne il ciclo di vita del prodotto.  A sostegno di ogni attività vi è un Codice Etico e di Condotta contenente informazioni importanti per il cliente  circa la comunicazione esterna, le relazioni con la pubblica amministrazione, i rapporti fra i dipendenti e i collaboratori, e molto altro ancora. 

Sul sito ufficiale, per rendere più chiara la loro missione di trasformare il ricavato in progetti concreti che facciano la differenza, viene esplicitato che “gli indumenti che le persone ci affidano si trasformano in risorse per progetti di istruzione, agricoltura sostenibile, tutela della salute e sviluppo comunitario”. Solo nel 2021 la raccolta di abiti usati ha contribuito alla realizzazione di ben 12 progetti di sviluppo sostenibile e di cooperazione internazionale in 5 paesi del sud del mondo e in Italia, perlopiù relativi all’istruzione e alla formazione (https://raccoltavestiti.humanaitalia.org/progetti/istruzione-e-formazione/). Le iniziative di sensibilizzazione di Humana sono presenti anche sul territorio italiano, attraverso, ad esempio, il volontariato nelle scuole al fine di promuovere uno sviluppo sostenibile e consapevole

L’attività dei negozi Humana vintage (e dello shop online), consiste nel raccogliere i capi e i tessuti donati attraverso gli oltre 5000 contenitori stradali dell’organizzazione, presenti in più di 1200 comuni italiani, e dare loro una seconda vita attraverso il reimpiego. È interessante e innovativo il diverso utilizzo dei capi di abbigliamento e tessuti che vengono raccolti. Humana stessa spiega che il 67,5% è rivenduto come vestiario nello shop online oppure in uno degli 11 store Humana presenti in Italia, il 25,5 % è destinato al riciclo per il recupero delle fibre, mentre il restante 7% è destinato al recupero energetico.

Il valore aggiunto risiede nel fatto che ogni capo presente è unico nel suo genere e di alta qualità, a differenza dei negozi fast-fashion, dove ogni prodotto è prodotto in serie. Grazie a questo sistema di raccolta risulta possibile evitare una delle fasi più dannose per l’ambiente e per il dispendio di risorse per quanto concerne la moda fast-fashion: lo smaltimento dei capi. Spesso, gli invenduti dei negozi fast-fashion, trattandosi di tessuti composti da fibre sintetiche, non possono essere smaltiti in modo naturale, rimanendo così a inquinare l’ambiente per anni: una gestione come quella di Humana riduce le emissioni inquinanti. In Cina si stima che il 70% dei fiumi e dei laghi presenti sul territorio sia contaminato da 2,5 miliardi di litri di acque reflue prodotte dagli scarti dell’industria tessile.

Karim Bolin, presidente di Humana People to People Italia dal 1998, in un’intervista ha affermato che il fast-fashion sta creando ingenti danni anche per quanto riguarda la qualità dei capi di abbigliamento usati che vengono raccolti,  costantemente in calo, come dice Bolin stesso: “diventa sempre più difficile […] i capi sono spesso composti da un misto di fibre differenti che sono difficili da separare”. Così il materiale riciclabile diminuisce sempre di più e viene ostacolata la missione di Humana che fa del riutilizzo dei tessuti il suo pilastro portante. “Stiamo subendo le conseguenze del settore che non pensa all’eco-design e al fine vita dei prodotti che produce”, aggiunge Bolin.