Critica Costruttiva alla Direttiva SUP
Il 3 luglio è entrata in vigore la normativa UE contro la plastica monouso, la cosiddetta SUP – Single Use Plastic. La direttiva consiste in una serie di regolamentazioni a livello europeo con lo scopo di prevenire e ridurre l’impatto della plastica sull’ambiente, in particolare quello marino.
La normativa rappresenta un grande passo in avanti verso la tutela degli ecosistemi: chi non è mai rimasto impressionato dalle foto delle tartarughe incastrate nelle confezioni di plastica, o dalle foto dei pesci e dei gabbiani con lo stomaco pieno di cannucce e microplastiche?
È giusto però, oltre a valutare i pro della direttiva, capire il perché la stessa sia insufficiente per ambire ad un pianeta più pulito: la sostituzione della plastica monouso è solo un piccolissimo step che risulterà inutile se non limitiamo il nostro eccessivo consumismo e agio del mondo occidentale.
Qualche dato tecnico:
La normativa è stata emanata nel 2019, ma è stato concesso tutto questo tempo agli Stati Europei per adeguarsi.
Gli oggetti che non possono più essere venduti sono: stoviglie e posate monouso in plastica, cannucce, cotton fioc, tappi, coperchi, prodotti in polistirolo espanso, bottiglie (con capacità inferiore a 3l), palloncini, ecc. ecc…
È importante sottolineare che tutti i prodotti citati presentano già una valida alternativa in commercio ecologicamente più sostenibile.
La plastica non verrà bannata del tutto: potranno essere venduti oggetti monouso che specifichino che il materiale sia plastica e che forniscano indicazioni sullo smaltimento dello stesso. Inoltre, sono state introdotte regole di responsabilità estesa del produttore con tassazioni progressive, secondo il principio “chi inquina paga.”
La SUP in Italia e gli interessi economici:
La Commissione Europea ha stabilito che gli oggetti bannati non sono solo quelli prodotti interamente con plastiche tradizionali, ma anche quelli a base biologica e biodegradabile (es. bioplastiche compostabili).
Il Governo italiano, di contro, ha approvato la legge n.53 del 22 aprile 2021, introducendo un elemento ulteriore alla normativa europea: potranno continuare ad essere prodotti e venduti articoli monouso in plastica compostabile e biodegradabile.
È bene sottolineare che in Italia ci sono 278 aziende che producono bioplastiche, che nel 2020 hanno avuto un fatturato complessivo di 815 milioni di euro e un aumento di profitto del 10%.
Non dobbiamo però farci ingannare dalla dicitura “bio”: l’unica normativa europea che regola l’attribuzione dello status di bioplastica ad un prodotto stabilisce che l’oggetto deve essere degradabile e compostabile.
Un oggetto in bioplastica non è automaticamente sostenibile, poiché può comunque essere prodotto con fonti fossili e contenere solo una piccolissima parte di materiale vegetale.
Inoltre, la bio plastica non si degrada autonomamente nell’ambiente: senza un corretto processo di compostaggio – in impianti industriali e a temperature elevate – ha lo stesso impatto e presenta la stessa pericolosità di qualsiasi altro oggetto di plastica tradizionale.
Critica costruttiva al modello occidentale:
La legge è un passo avanti verso una transizione ecologica? Assolutamente sì.
La legge ci renderà più consapevoli e sostenibili? No, non basta.
La normativa intima gli Stati alla sensibilizzazione per una “riduzione ambiziosa e duratura del consumo dei prodotti monouso” che non hanno ad oggi un’alternativa ecosostenibile.
Tantissime aziende italiane, ma anche il Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, stanno alzando la voce poiché ritengono la direttiva assurda e pericolosa.
Insomma, a noi italiani, anzi, a noi occidentali, proprio non piace cambiare le nostre abitudini.
Fin quando non capiremo che il nostro obbiettivo deve essere quello di ridurre il più possibile i nostri consumi e il nostro impatto ambientale, la situazione non cambierà.
Sostituire tutti i materiali monouso con materiali monouso ma riciclabili è una falsa soluzione, non adatta alle sfide che il nostro pianeta ci sta mettendo davanti: la soluzione definitiva sarebbe ridurre del tutto il monouso, grande amico delle società moderna ma grande nemico degli ecosistemi.
Non si tratta infatti solo di quantità di rifiuti o impatto sugli ecosistemi del prodotto finito: ogni oggetto monouso attraversa un processo di produzione, trasporto e consumo che produce emissioni, sostanze inquinanti e danneggia il pianeta. Sappiamo che il nostro sistema economico, basato sul consumismo e sull’usa e getta, non è più sostenibile.
Basta false soluzioni, è ora di cambiare stile di vita!