Giovannini (Asvis): «L’emergenza Coronavirus deve farci aprire gli occhi. È ora di mobilitarci per un altro futuro»
«Il cuore della sostenibilità è il rispetto tra le generazioni. Il concetto dello sviluppo sostenibile si basa sul consentire alla generazione attuale di soddisfare i propri bisogni senza pregiudicare il fatto che le generazioni future facciano altrettanto. Voler cambiare il mondo può sembrare folle, ma cosa c’è di più saggio del provare ad assicurarsi un futuro?». Esordisce così Enrico Giovannini, ex presidente dell’Istat, docente di Statistica economica all’Università di Roma Tor Vergata, ministro del Lavoro nel governo Letta e attualmente portavoce dell’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) e presidente dell’European Statistical Governance Advisory Board.
«A causa dell’emergenza Coronavirus, stiamo vivendo una crisi di proporzioni senza precedenti. Non solo perché i morti sono tanti, non solo perché tantissime famiglie sono duramente colpite, ma perché l’impatto sull’economia è, e sarà, molto duro. Per questo, la crisi deve essere affrontata con strumenti eccezionali, visto i colpi che sta infliggendo sia alla domanda che all’offerta, sia al settore terziario che all’industria. Tutto in maniera simultanea e non in sequenza, come invece è successo in passato».
Quindi, secondo lei, il Coronavirus sarà un banco di prova per l’unità europea?
Lo è già, e trovo che ci siano segnali incoraggianti, al contrario di quello che altri pensano. La Commissione europea – che non è un governo e non è stata creata per gestire crisi ma per preparare il futuro attraverso iniziative legislative e la definizione di standard comuni – ha risposto in maniera rapida e forte rispetto al passato, pur non essendo un’istituzione disegnata per gestire l’emergenza. Le prime azioni che la Commissione ha messo in campo in questi giorni di lotta al virus hanno confermato la volontà di condurre azioni determinate. Il commissario europeo per il mercato interno e i servizi Thierry Breton che minaccia la Germania di aprire una procedura d’infrazione perché non fa passare le mascherine destinate all’Italia, è un esempio concreto, così come la proposta di sospendere il Patto di stabilità.
Diverso è il Consiglio europeo, cioè i Paesi. Alcune opinioni pubbliche ci hanno sfottuto per le misure così drastiche, ma alla fine il “modello Italia” è in fase di applicazione ovunque. Alcuni Paesi hanno peccato di sottovalutazione, di poca cooperazione, anche se il cambiamento negli ultimi giorni è stato significativo. Infine, la Banca centrale europea, che inizialmente ha sottostimato l’impatto dello shock, con le ultime decisioni sembra aver ritrovato la consapevolezza della gravità della situazione. In conclusione, ciò che è chiaro, è che la crisi che dobbiamo affrontare richiede strumenti eccezionali e soprattutto un modo di pensare diverso.
L’ideogramma cinese che significa crisi è composto da due caratteri, uno dei qual significa opportunità. Secondo lei, da questa pandemia, esiste la possibilità che rinasca una società più giusta? Si potrebbero fare delle scelte innovative, ad esempio dal punto di vista economico, in grado di cambiare le sorti del nostro Paese?
È la mia speranza. L’inventore della parola “Cigno Nero”, Nassim Nicholas Taleb, ha detto chiaramente che la crisi che stiamo vivendo non ha le caratteristiche tipiche del “Cigno Nero”, cioè l’imprevedibilità. Questo perché eravamo al corrente che la distruzione della biodiversità e il modo in cui funziona l’economia mondiale hanno creato un sistema umano straordinariamente complesso e quindi fragile. È da tempo che scienziati ed esperti dicono che avremmo dovuto prepararci alla diffusione di pandemie. Non abbiamo voluto credergli. L’approccio di preparazione allo shock non entra nella nostra testa e in particolare non entra nella testa degli italiani. Mi auguro vivamente che questa pandemia possa condurci ad una fase nuova, ma questo passaggio richiede soprattutto un profondo cambiamento nel concepire le politiche e le nostre azioni. Spero che questa crisi ci insegni a prevenire e a preparaci ad un futuro che sarà totalmente diverso dal passato. Gli esseri umani, di fronte alle difficoltà, reagiscono non necessariamente con più cooperazione, ma spesso con più competizione, allineandosi al mors tua vita mea. Ma siamo liberi di scegliere strade diverse. Ecco dove si vede la cultura di un Paese. Ecco perché dobbiamo cercare di “rimbalzare avanti” e non tornare indietro ad una situazione che era comunque insostenibile.
Il coronavirus terrorizza, il clima no. Come nasce la percezione del rischio?
Rispondo basandomi su alcune riflessioni. La pandemia tocca tutti, perché nessun essere umano, a qualsiasi classe sociale appartenga, è immune. Ma soprattutto spaventa la velocità con cui il virus si diffonde. Il cambiamento climatico, invece, viene percepito in maniera molto diversa. È un fenomeno apparentemente lento, in realtà drammaticamente veloce, e non viene percepito come un rischio istantaneo. In queste settimane finalmente è stato ricordato, anche da altri, che in Italia, ogni anno, muoiono prematuramente circa 80mila persone per malattie legate all’inquinamento. Un numero che fa spavento, ma che non crea la stessa attenzione.
Nel suo libro, “L’utopia Sostenibile”, scrive che per costruire un futuro migliore servirebbe proprio un’utopia sostenibile, ma cosa intende?
Noi umani abbiamo la capacità, al contrario di altre specie, di immaginare il futuro. Attraverso l’immaginazione, i sogni e le idee, siamo capaci di mobilitarci per provare a realizzare il nostro futuro ideale. L’Agenda 2030, firmata da tutti i Paesi del mondo a settembre del 2015, rappresenta il punto più di alto di concordia tra tutti i Paesi dell’Onu su qual è il futuro migliore che vogliamo costruire. Ecco qual è l’utopia sostenibile: la realizzazione di quei 17 Obiettivi di sviluppo per l’uomo e per il Pianeta. In molti l’hanno definito un esercizio utopico, ma l’utopia non è un libro dei sogni, può essere un ideale al quale tendere attraverso azioni concrete. La sostenibilità è un tema che si è affermato da poco tra i cittadini e ha molto a che fare con il concetto di giustizia tra le generazioni. Ad esempio, pensiamo alle critiche mosse dall’opinione pubblica ad alcuni modelli ipotetici di risposta al Covid-19 basati sul “tanto muoiono solo i vecchi”. Tutti abbiamo giustamente risposto o pensato che questa è una scelta che non andrebbe nemmeno presa in considerazione, in quanto per nulla etica. Ma perché, secondo lei, si può considerare una scelta etica quella di distruggere l’ambiente a sfavore delle generazioni future?
C’è una sensibilità crescente riguardo alle questioni ambientali, mentre nel caso di quelle sociali stiamo assistendo a degli arretramenti. Lei questa cosa l’ha definita visione retrotopica del mondo? Come la spiegherebbe ad un giovane?
La spiegherei come la spiega Zygmunt Bauman nel suo libro “Retrotopia”. Sono così spaventato del futuro, sono così spaventato dal mondo globalizzato, mi spaventa il fatto che il mondo sia complesso, quindi decido di fermarmi e tornare indietro. Non avendo le categorie mentali che mi permettono di fare il salto, la mia utopia è la retrotopia: sono incapace di guardare al futuro con speranza e fiducia, preferisco volgermi al passato per cancellare le paure, alzare i muri, affondare i barconi, fare le guerre commerciali. Questa crisi che stiamo vivendo può determinare questo tipo di scenario. Per questo dobbiamo mobilitarci, qui ed ora, per contrastarlo con una visione differente.
Secondo lei, stiamo veramente vivendo la grande crisi del sistema capitalistico?
Certamente si. Si è discusso proprio di questo tema al World Economic Forum di Davos solo poche settimane fa. Siamo in una situazione simile a quella del 2008/2009, e la mia speranza è che, al contrario di allora, non si cerchi solo di tornare al passato. Dobbiamo lavorare uniti affinché non si ripetano gli stessi errori di allora, ma si colga l’occasione per un cambio di paradigma.
La legge di Bilancio per il 2020 è più attenta allo sviluppo sostenibile. L’Italia è migliorata in 11 obiettivi di sviluppo sostenibile su 17, a partire dalla lotta alla povertà, tra il 2017 e il 2018, ma ha registrato un «significativo peggioramento» per uguaglianza di genere, acqua e strutture igienico-sanitarie.
Rispetto allo scorso anno, la legge di Bilancio 2020 mostra un evidente cambio di impostazione a favore dello sviluppo sostenibile, coerentemente con le politiche europee. Riprende molte proposte dell’ASviS, ma per alcuni settori cruciali, come educazione, occupazione giovanile, tutela della biodiversità, i provvedimenti sono insufficienti per contenuti e risorse assegnate. Certo, con l’arrivo di questa crisi cambia tutto. Stiamo preparando un documento, come ASviS, per capire come la crisi impatterà sui diversi indicatori di sviluppo sostenibile e sulle priorità politiche.
Secondo lei, la misura Cura Italia è davvero una manovra coraggiosa? Questo decreto marzo riuscirà a risollevare il Paese?
Non credo che questa sia una manovra risolutiva, anche se mette in campo risorse ingenti e strumenti protettivi. Lo stesso Governo ha già detto che farà un altro decreto più avanti. Ma non possiamo dedicare tutte le risorse per proteggere, non basterebbero se la situazione economica continuasse a deteriorarsi, ma dobbiamo lavorare e ragionare già ora su come orientare risorse e politiche a stimolare e sostenere il “rimbalzo”. L’Italia, dopo le crisi 2008/2009 e 2011/2012, è ripartita più lentamente rispetto agli altri Paesi. Non dobbiamo assolutamente ripetere lo stesso errore. Sarebbe fatale.
Lo Smart working è un’occasione per il futuro del lavoro?
È un’occasione di migliore utilizzo del lavoro. Soprattutto è una grande opportunità per tornare a parlare di riorganizzazione dei tempi di vita, degli spostamenti e quindi del funzionamento delle città. Le città, così come sono, non sono a misura d’uomo e non sono in grado di abbattere, ad esempio, l’inquinamento. Se noi trasformassimo tutte le auto a combustione interna in auto elettriche, e anche riuscissimo a generare quell’elettricità in modo rinnovabile, continueremmo comunque a passare due ore al giorno in mezzo al traffico. Per rendere lo Smart working – quello vero, intelligente e non solo obbligato – uno strumento utile a stravolgere la nostra concezione di “lavoro”, serve un investimento vero, non banale, sia nelle aziende che negli individui. L’Italia può essere all’altezza di un tale cambiamento.
Un’ultima domanda. Se dovesse dare un consiglio a Conte, cosa proporrebbe?
Al presidente Conte e al Governo consiglierei di creare, al fianco dell’unita di crisi, una “unità di resilienza trasformativa”, composta da persone in grado di valutare in che modo rilanciare il Paese in modo nuovo, trasformativo appunto. Esperti di diverse materie che propongano interventi radicali per offrire nuove opportunità, rimuovere ostacoli, seguendo i principi della Costituzione, in modo da avviare un ciclo di sviluppo molto più sostenibile sia sul piano sociale che ambientale, oltre che economico. Non si può affrontare questa crisi con la mentalità con cui si sono affrontate quelle precedenti e non c’è tempo da perdere.